27/11/07
It's the end of an era
Quando stamattina correvo (letteralmente) dall'ufficio del relatore alla segreteria dell'università [1], pensavo alle parole che mi aveva appena detto [2]: il momento in cui consegni la tesi è la fine di un'era, perchè dopo vent'anni smetti di essere uno studente e diventi qualcos'altro. Cosa sia questo qualcos'altro non l'ho ancora capito proprio bene; fatto sta che la foga con cui macinavo quei cinquecento metri, probabilmente, era dovuta alla voglia di chiudere quell'era, apertasi con un bambinocongliocchiali che giocava a fare il supereroe indossando il grembiule a mò di mantello, proseguita con le variegate vessazioni delle medie, continuata con gli anni di frustrazione del liceo e conclusa con l'unica, ininterrotta rincorsa che sono stati questi cinque anni di università.
Firmavo moduli e copiavo il titolo della tesi, ripensando all'ultima settimana, alle notti davanti al codice LaTeX, alle bozze corrette in diretta con la Danimarca e a quel generale senso di "se avessi avuto una settimana in più". Ma le scadenze sono un recipiente, e il lavoro tende quasi sempre ad assumerne la forma. Se avessi avuto una settimana in più, avrei aggiunto un pezzo di codice, o avrei rimpolpato quel paragrafo un po' schematico, e avrei desiderato un'ulteriore settimana in più, e un'altra, e un'altra ancora, e la tesi l'avrei consegnata nel 2017.
E poi, con nella borsa la mia ricevuta e bevendo il caffè offertomi dal relatore, una frase:
onestamente, all'inizio non pensavamo che ce l'avresti fatta ad arrivare in fondo.
Sai che c'è? In fondo ci sono arrivato, e sono contento di come ci sono arrivato. Il perfezionista che è in me è stato debellato: questa è la vera end of an era.
[1] Rel.: Vai al secondo piano e chiedi di Tizia.
PCI: Ma ci sarà un cartello...
Rel.: No, non c'è un cazzo, fidati.
[2] No, non a quelle di [1].
[3] E no, Wikipedia non l'ho messa nella bibliografia, ho seguito la tecnica "cerca un libro che dica le stesse cose e metti quello".
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15/11/07
La tesi di laurea ai tempi dell'internèt
Ma, secondo voi, Wikipedia nella bibliografia ci va o non ci va?
(e fu così che il relatore si scandalizzò per l'immissione nel lavoro di contenuti di dubbia provenienza e mi retrocesse in prima elementare)
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08/11/07
Enzin Biagiantino
Leonardo, di Enzo Biagi e della sua Storia d'Italia a fumetti, ricorda l' Editto di Rotari e i nasi mozzati che ne conseguirono. Io ricordo la gamba amputata con una sega dell'amichetto di Silvio Pellico (che aveva anche un nome e un cognome, ma è stato archiviato nel mio cervello alla voce "l'amichetto di Silvio Pellico"). In quella vignetta, mancavano solo un po' di budella assortite per raggiungere il massimo dei punti-splatter. Poi dicono che la gente non sa la storia.
Leonardo, Wikipedia
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04/11/07
A Tale of Three Cities
Una città, dopo un po' che la frequenti, finisce per lasciarti qualcosa dentro. Scorci, spazi, nomi di vie, o semplicemente una certa sensazione, un nonsoché di cui non riesci bene a identificare la causa, ma che finisce per prenderti tutte le volte che ci torni e che cambia completamente da luogo a luogo.
Per esempio, Bologna. Dopo questi mesi di pendolarismo sentimentale, non vi farò ritorno per qualche tempo. E dopo una, due, dieci volte, quel cavalcavia, quel semaforo, quel negozietto di formaggi sono diventati uno scenario familiare. Come gli autobus. A Bologna c'è una fermata dell'autobus ogni cinquanta metri. Alla fine, volente o nolente, impari i nomi delle fermate, le vie attraversate, i numeri delle linee. 20. 28. Pilastro. Filanda. Bombicci (uno di quei nomi che ti viene voglia di ripeterli duecentomila volte finché non perdono significato. Bombicci. Bombicci. Bombicci. E' divertente). Irnerio ("ciao, io mi chiamo Irnerio, tu come ti chiami?" "Odoacre").
Poi, Brescia. Giro di visite parentali, dopo parecchio tempo. Ci ho vissuto a Brescia, quand'ero il Piccolo Chettimar Italiano e Prescolare. I ricordi sono pochi: i giri in triciclo per il lungo corridoio di casa, la ciminiera a strisce bianche e rosse del termovalorizzatore e una via intitolata a un omonimo di mio padre (che io mi chiedevo, come fa mio padre ad avere già una via intitolata a suo nome? è così famoso?). Brescia in sè non è una brutta città, a parte i villaggi-dormitorio dove le case sono fatte con lo stampino e le vie si chiamano "Traversa Quindicesima", "Traversa Sedicesima", "Traversa Diciassettesima". Anche in questo caso ci sono tanti nomi che mi sono rimasti impressi, nonostante di autobus non ne abbia mai presi. Via Milano. Via Oberdan. La Triumplina (come con Bombicci. Triumplina. Triumplina. Mia nonna semplifica in "Triumpilina", la capisco). La statale del Caffaro.
La terza città sarà Copenhagen, di qui a poco. Il pendolarismo sentimentale non sarà più via treno ma via aereo, i nomi saranno impronunciabili, ma ho come il sospetto che anche lì troverò un nonsoché di cui non riuscirò bene a identificare la causa, ma che finirà per prendermi tutte le volte che ci tornerò.
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