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Il giallino del mese |
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31/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
In exitu
Allora.
Ho pulito tutto. Ho chiuso le finestre e staccato le spine, che dicono ci saranno temporali. La tavoletta del wc l'ho abbassata. In frigo ho lasciato qualche birra e un po' di coppa e di salame da affettare. E' roba buona delle mie parti, mica comprata al supermercato. E i pistacchi, nell'armadietto, che so che piacciono a lisagialla. Le chiavi le metto come concordato sotto il vaso dove una volta c'erano i girasoli, e adesso non c'è altro che un paio di fuzzichi secchi (ve l'ho mai detto che adoro le donne che non hanno il pollice verde?). Gli interruttori li ho lasciati su, perché tanto domani arriva un nuovo inquilino, vero? Le lenzuola le avevo portate io per non disturbare. Quelle vostre le trovate piegate nell'armadio, con la cura con la quale un maschio filosofo può piegare alcunché. Non cercate il dvd di Manhattan, l'ho preso in prestito. Lo riporto il giorno dell'asta del fantacalcio (ah, sere, di' al coinqulino che Zef mi ha confermato che gioca ancora). Spero non vi dispiaccia (che abbia preso il dvd, non che Zef giochi ancora, ma magari s'era già capito). In compenso vi ho lasciato due cd di Guccini (io tanto ce li ho su iTunes). Credo da qualche parte siano rimasti i Pensieri di Pascal. Al momento di fare la valigia non li ho più trovati. Forse, ora che ci penso, devo essere finiti sotto il letto. Nel caso, mettetemeli via che li riprendo la prossima volta che ci vediamo (quelli non ce li ho, su iTunes). Salutatemi tutti quelli che non ho visto o che non ho fatto in tempo a.
Che altro?
Ah, sì: è stato bellissimo.
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:: by :: farfintadiesseresani
Le parole che non vi ho detto
Il lunario corre inesorabile, e uno s’accorge (come sempre, del resto) di avere dato corpo a meno di un decimo delle cose che gli sono frullate per la testa.
Di che cosa avrei voluto scrivere, ma non ho scritto, su queste amate pagine?
Della maglia gialla del Tour de France; del perché Luis-Ferdinand Céline sia il più grande scrittore del ‘900; di come possa capitare che qualcuno consideri “il più bel romanzo mai letto” un libro che non è mai riuscito a finire (e proprio perché non è mai riuscito a finirlo); delle vacanze in montagna e del loro fascino così difficile da comprendere per i profani; di come si potrebbe fondare una squadra di calcio (o di qualunque altro sport) dei giallini e farla giocare per beneficenza, un po’ come la Nazionale cantanti; del lieto fine come categoria metafisica; degli animali domestici e di come ti trasformino la vita; del perché a un certo punto a una persona di media intelligenza possa venire in mente di dedicarsi alla filosofia; di come sia difficile e bellissimo avere a che fare per lavoro con una pletora di ragazze diciannovenni; del grande Spinoza; del masochismo delizioso del ciclista; della vaniglia e del chinotto; di quella volta che piansi comparando mentalmente Bugno a Indurain, e percependo quanto la vita possa essere ingiusta; del Dungeons&Dragons, semplicemente il più bel gioco del mondo; dell’idea balzana di realizzare, verso dicembre, il calendario dei giallini dell’anno; di che cosa, in realtà, faccia innamorare di una donna i professori di filosofia; del raccontare come metodo per vivere il tempo e, magari, ridefinirlo; di papa Giulio II; del perché, a Risiko, voglio sempre tenere i gialli; di come mi sia venuto in mente di aprire, sul mio blog, una nuova categoria di post dal titolo “Se fossi ancora giallino del mese”; di come sia la vita online di chi abita in un paese ancora non raggiunto dall’adsl; di insetti, rettili e anfibi; di come ci si sente ad essere imparentati (alla lontana, neh) con Manzoni; della Mitteleuropa intesa come casa propria; del mare più bello del mondo (e del perché lo sia); di come sia possibile amare una donna che è così diversa da te; dell’opportunità di organizzare, da qualche parte, una festa del MicroBlogGiallo, cui invitare tutti i giallini per vedersi bene in faccia e poter chiacchierare con un po’ di tranquillità; di quanto sia possibile amare Sheva e Paolone Maldini; della pizza; del giallo inteso come genere letterario; del fatto che nessun movimento politico di rilievo abbia mai scelto il giallo come proprio colore simbolo; di grappa e cognac, supremi superalcoolici; dell’umiltà e dell’uso dei vocabolari (e delle relazioni tra i due fenomeni); dell’ironia come chiave del mondo; del sé e della sua eventuale sopravvalutazione; di come mi immagino il paradiso, l’inferno e il purgatorio; di come ho rischiato, quella volta, di diventare un insopportabile fanatico integralista; di come l’amore, un amico, il ciclismo, l’insegnamento della filosofia e la voglia di ridere mi abbiano salvato; dell’essere conservatori e liberali al contempo; di Woody Allen e del suo cinema; di come a noi ci ha rovinato L’attimo fuggente; del perché capire tutto non sarebbe ancora la risposta; di molto altro ancora.
Insomma, direi che vi è andata bene.
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30/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
Io è un altro
Sinite pueros venire ad me et nolite vetare eos; talium est enim regnum Dei. Amen dico vobis: Quicumque non acceperit regnum Dei sicut puer, non intrabit in illud. Lc 18, 15-17
Interno giorno. Ascensore. Un professore di filosofia e storia trentottenne sale (o scende, è indifferente) per raggiungere il piano prescelto. Fissa lo specchio, chissà perché, con un’espressione intensissima (pensa lui) un po’ ottusa (penserebbe chi lo vedesse).
Il nostro eroe, Mark Baker, è un semplice cittadino di una semplice città di questo semplice mondo. Ma lì, dietro lo specchio, gli alieni/la Cia/la Spectre/i cinesi/i terroristi islamici lo stanno spiando. Lui ancora non sa, ma già intuisce. Fissa gli occhi nello specchio e tranquillizza se stesso chiedendosi per quale motivo mai gli alieni/la Cia/la Spectre/i cinesi/i terroristi islamici dovrebbero aver installato una microcamera sul retro dello specchio di quell’ascensore per spiare lui, proprio lui, Mark Baker, un semplice cittadino, un uomo ordinario. Presto avrà una risposta per questa sua domanda. E la risposta non gli piacerà.
Interno giorno. Una qualunque scala di un qualunque edificio. Un professore di filosofia e storia trentottenne deve farsi una o più rampe per raggiungere il luogo in cui deve recarsi. Agita quasi impercettibilmente braccia e spalle a destra e a manca. Chi lo vede non può fare a meno di notare alcunché di buffo nel suo incedere gradino dopo gradino.
Buon pomeriggio, gentili telespettatori. Si corre oggi la sedicesima, decisiva, lunghissima tappa del Tour de France, da Courchevel all’Alpe d’Huez. Il gruppetto dei migliori è già stato selezionato dalle numerose salite. Davanti, al duecentotrentesimo chilometro di corsa sotto il sole di luglio, sono rimasti in cinque: il campione americano in maglia gialla, il tenace tedesco, il giovane e promettente spagnolo, il kazako compagno di squadra del tedesco e Ivan Beccaria, il nostro campione. Ma attenzione! Scatto di Ivan! La sua progressione è devastante! Gli resiste solo la maglia gialla, ma l’americano è in visibile affanno. Signori e signore, siamo alle prime rampe della salita conclusiva e già la battaglia si accende. Ivan Beccaria procede in progressione. Sono rimasti solo in due. Ma ecco, un nuovo scatto! Beccaria si alza sui pedali! L’americano perde cinque metri, dieci, venti! Un uomo solo al comando della corsa! Che meraviglioso campione!
Interno giorno. Una classe scolastica è intenta a svolgere un compito. Alla cattedra è seduto il trentottenne professore di filosofia e storia, che cerca di far passare il tempo e, al contempo, di vigilare, non troppo rigidamente invero, ché gli studenti non copino. Solo i più bravi e i più svelti tra i ragazzi riescono a sollevare talvolta gli occhi dal foglio, e vedono il professore con lo sguardo fisso nel vuoto e il corpo percorso da rapidissimi sussulti.
La copertura è perfetta: professore di filosofia e storia in questa high school del Michigan. Sei ancora giovane, Marck MacHaria, e avresti potuto lavorare ancora a lungo per l’Agenzia, ancora qualche anno in giro, poi dietro a una dignitosa scrivania. Sono stati i tuoi capi, a insistere. John Gambetta ha troppi amici in giro per New York, e tu, hanno detto, finché resti qui in città e mantieni la tua identità sei un morto che cammina. Hai mandato a carte quarantotto un impero che fatturava miliardi di dollari, hai fatto finire all’ergastolo il più potente capo mafia di tutti gli Stati Uniti, il che vuol dire di tutto il mondo. In due parole: hai chiuso. A te la scelta: o sparisci per sempre, o muori. Hai scelto. Hai rispolverato i tuoi vecchi studi. Il governo ha fatto il resto, con discrezione. Ora sei quì, a spiegare Wittgenstein, con la 38 sempre sotto l’ascella perché non si sa mai.
E infatti: chi può camminare con scarponi metallizzati lungo il corridoio della scuola nel bel mezzo delle lezioni? L’orecchio non ancora arrugginito ti dà velocemente delle risposte: due, rapidi, pesanti, armati. Senti i fucili a pompa scattare a due metri dalla porta della classe. Dio mio, ventisette ragazzi innocenti. Quel figlio di puttana di Gambetta non ne ha avuto ancora abbastanza. La mano corre al calcio della 38. Devi essere veloce, vecchio. Senti una botta al centro dello stomaco. Speri sia adrenalina e non infarto. E se è un infarto, che si fotta e aspetti qualche secondo. La porta si apre di botto. Tu spari per primo.
Esterno giorno. Verso il tramonto. Nel giardino di casa di un professore di filosofia e storia trentottenne Gala e Bilbo, due gatti bianchi e neri, escono sull’aia a prendere il fresco come tutte le sere, miagolando in cerca di croccantini. Gandalf, un cagnone meticcio e giocherellone, comincia a correre d’intorno preso dall’entusiasmo, disegnando grandi circoli a tutta velocità, poi scartando all’improvviso, annusando tutt’intorno, per poi riprendere a correre con la lingua a penzoloni.
”Usa la Forza, Mark”. La voce del suo maestro risuonò dentro la sua testa. La spada laser dello Jedi s’accese, illuminando la scena di una pallida luce azzurra. Darth Kahn, il temibile sith che era stato mandato ad affrontare, gli girava intorno minaccioso, spalleggiato dai suoi due simbionti, piccoli rapidissimi e micidiali. Darth Kahn s’avventò per primo, veloce e possente. Le spade s’incrociarono ronzando e vibrando. La botta fu dura, e lo Jedi perse l’equilibrio. I due simbionti furono rapidamente su di lui, ma se ne liberò con un gesto della mano che li proiettò lontani. Darth Kahn tornò a farsi avanti. Lo jedi fu in piedi con un balzo, e con un altro saltò sopra al sith, atterrandogli alle spalle. “Non hai scampo, Kahn”, gridò a gran voce, poi roteò la spada laser e colpì... (1)
Esterno giorno. Centro di una città (potrebbe essere Milano, ma anche Piacenza, per dire). Un professore di filosofia e storia trentottenne passeggia con fare svagato e scazzato per le vie, sigaro in bocca, dirigendo a destra e a manca i suoi buffi sguardi.
M.B., il Giovane Scrittore Stanco della Vita, s’aggirava per quella città da ormai dieci anni. Ne conosceva ogni piega, ogni anfratto, pressoché ogni abitante. Ne aveva studiato i tipi, le abitudini, le idiosincrasie e i rari entusiasmi. Nella sua testa il Grande Romanzo che Avrebbe Rivoluzionato la Letteratura Mondiale era ormai già scritto, parola per parola, capitolo per capitolo. Gli rimaneva solo da metterlo nero su bianco. Quegli ultimi giri apparentemente senza scopo per il centro della città gli servivano per ricapitolare, per essere certo di non aver tralasciato nemmeno un risvolto delle anime che aveva così pazientemente e lungamente osservato, con l’acutezza dell’entomologo. Loro non lo sapevano ancora, naturalmente, ma presto avrebbero saputo. Tra poco, tutto il mondo avrebbe conosciuto il genio del Giovane Scrittore Stanco della Vita. Per l’intanto, si sedette a un tavolino di quel bar e continuò ad osservare la Vita, appunto, che scorreva attorno a lui, indeciso se ordinare un chinotto o un caffé freddo shakerato. Dal sigaro, ampie volute di fumo perlaceo s’alzavano al pallido lucore del cielo.
(1) Nessun animale è stato ferito o maltrattato durante le riprese, con l’eccezione di un umanoide di circa quarant’anni e di un centinaio di chili di peso il quale peraltro, a dire il vero, ha rimediato solo un paio di graffi e una profonda ferita nell’orgoglio, quando i due gatti si sono allontanati dalla sua presenza, palesando sdegno e noia.
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29/07/05
:: by :: SuperBimba
Alta manovalanza
mi sono fidanzata dice la sciura, la collega che usa la Cadonett, regalando un brivido improvviso durante la tristissima cena in mensa. ma lui lo sa? le chiediamo in coro, e lei risponde che lui non lo sa ancora ma insomma è stato bellissimo l'altra notte sul radiobus. sul radiobus? sì abbiamo parlato tantissimo lui oltre a guidare benissimo il radiobus cucina benissimo lava stira e tiene la casa come uno specchio.
Insomma la sciura si è innamorata di un conducente Atm. Poi c'è A. nota avvocata milanese tremendamente carina, viso angelico e corpo pericoloso. Prima stava con il manager mascellone. Ma era noioso. Poi si è messa con il docente di diritto qualcosa in un ateneo milanese. Ma era insopportabile. Poi faceva tanto caldo nel suo appartamento allora si è decisa a far installare l'aria condizionata. E con l'installatore è stato amore a prima vista e ora lei è tanto contenta. e V., la biondona? chiedo alla comune amica, visto che siamo in taglia&cuci. Già, V. sta sempre con l'idraulico. pare sia un bonazzo pazzesco mi spiega l'amica, mentre sospira gli occhi incollati al posteriore dell'elettricista ufficiale di pink mountain. E confessa di avere un appuntamento per un caffè con un ex attore, molto noto alla fine degli anni '80, che, caduto in disgrazia, ora fa felicemente l'autista privato/guardia del corpo.
Insomma, per una volta fatemi esibire in una domanda à la Carrie Bradshaw: l'uomo/manovale è il nuovo uomo da manuale? Secondo voi, dove potrei lanciarmi in una nuova, temeraria caccia al fidanzato?
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:: by :: farfintadiesseresani
Smalltown Boy Goes Downtown
Milano vista dalla Val Tidone è solo un sogno traslucido e rovente nell’alba fresca di quello che sarà il giorno più afoso, più schifosamente marcio e fradicio dell’anno.
Milano, man mano che ci si avvicina in auto, è la contristata città puzzolente e paralizzata dal traffico dalla quale, una volta di più, ci si ricorda perché si è scappati.
Milano, una volta arrivati, è una pletora di strisce blu e gialle che complicano la vita e inducono a nominare il nome di Dio invano.
Milano, d’estate, è, come si diceva, marcia e fradicia. Fai dieci passi e sei sudato come se avessi fatto dieci passi (dolomitici, in bicicletta). Prendere la metropolitana per gli spostamenti non aiuta.
Milano è, in alcuni suoi scorci, più simile a una città del medio oriente che a una grande capitale europea. Provate un po’ a venire giù da via Melchiorre Gioia verso il centro, e a girarvi a destra e a sinistra appena prima del passaggio sotto il palazzo del Comune. E non siamo mica in periferia, lì, ma in una zona che avrebbe anche ambizioni di Centro Direzionale, o qualcosa del genere.
Milano e il suo centro, dopo quattro anni che non ci vivi, si sono trasformati e ridefiniti come i labirinti mobili della piramide di Alien vs. Predator: cose che credevi ci fossero, e fossero lì dove ricordavi, non ci sono più, o non sono più lì. Al loro posto, altre cose nuove (magari interessanti, che c’entra?, ma diverse da ciò che cercavi).
Milano è il posto più vicino a casa mia in cui c’è un centro di assistenza Apple. Laddove, quando ci arrivi, capisci che quella della Mela è una religione come le altre: chiede di essere professata tramite la fede, che a volte è cieca e irrazionale. Pare che la politica di Apple per i guasti degli iPod sia la seguente: lei ci lascia il suo iPod rotto, noi nemmeno lo guardiamo e lo spediamo alla casa madre, là forse lo aprono e forse no, in ogni caso entro due settimane (di barbiere, sospetto io) gliene mandano un altro (nuovo? usato? nuovo ma identico al tuo vecchio modello? la cosa non viene specificata), coperto da tre mesi di garanzia, al costo di 310 euro (per chi non lo sapesse: nuovo, nuovo modello a colori, con un anno di garanzia costa 329). Certo, c’è anche la sfiga: se fosse in garanzia, dato che non si vedono segni della botta presa, verrebbe sostituito aggratis, ma la garanzia è scaduta da una settimana esatta. E poi dicono di non dire merda. Esco riportandomi dietro il povero cadaverino. A questo punto, proverò a usarlo come disco fisso per il backup dei dati sperando che almeno per quello regga. O magari anche: c’è nessuno lì fuori che, senza impegno, ha sempre sognato di mettere le mani su un iPod rotto per aprirlo e provare a sistemarlo?
Milano te la vendono, a te che vivi in un paese che conta più metri di altitudine che case abitate, come il centro del mondo, quello in cui puoi facilmente trovare tutto quel che ti serve (“E se poi ti viene voglia di un hamburger alle dieci di sera?” dice, “o di un cinema? o di un teatro? o semplicemente di una passeggiata in mezzo alle luci della città?” – prendo l’auto e scendo a Milano, rispondo quando sono in vena buona, che se invece mi prendono in cattiva posso anche produrmi in un “e se poi tu avessi voglia di dormire almeno una notte tra giugno e settembre? di respirare più ossigeno che polveri sottili? di poter pedalare per tre ore in bicicletta senza incontrare un’auto che sia una? di considerare due auto ferme al semaforo di fronte a te un gran traffico?”). Milano, dicevo, nelle parole dei più sembra essere il conglomerato di ogni acquistabilità. È che alla prova dei fatti la cosa non regge mica poi tanto. Anche Milano deve essere una religione, penso. Insomma, cerco per un paio d’ore il regalo di compleanno perfetto per la Raffa, ma mi capita di non trovarlo in nessuno dei posti in cui l’ho cercato. Dove proprio non ce l’hanno (“Sa, ne tenevamo fino a tre anni fa, poi abbiamo deciso di smettere”), dove ce l’avrebbero “ma ormai è fine luglio, ce ne arriveranno ancora a settembre, vuole prenotare?”, dove non c’è un commesso uno a cui chiedere, e quando poi lo trovi ha l’aria di uno passato di lì per caso e, pare incredibile ma è vero, “non so se li teniamo, dovrei controllare”, poi sparisce appunto per controllare e chi lo rivede più?
È allora che succede una cosa: io, il milanese, mando un messaggio di implorazione a un’amica di origine perugina, la quale con un paio di botte e risposte a colpi di sms mi guida infallibilmente allo scopo. Uno smacco per la mia milanesità, d’accordo, ma è la globalizzazione, bellezza, ed è un’esperienza elementarmente deliziosa.
Milano è la mostra di Star Wars alla Triennale, dove ti diverti come un bambino, vieni sgamato a scattare foto col cellulare da una delle addette che avrà l’età delle tue studentesse e infine capisci che costruire modellini in balsa per il cinema sarebbe potuta essere, ad averci pensato per tempo, una delle tre professioni che sarebbe valsa la pena di intraprendere (le altre due essendo l’insegnante medio superiore di filosofia e storia e il corridore ciclista professionista).
Milano è l’occasione di poter regolare i conti (quasi) una volta per tutte con Frank Miller e Bill Watterson, grazie all’esistenza di un posto meraviglioso come la BdF (grazie al cielo, è sempre là dove me lo ricordavo, a due passi dal mio vecchio liceo e a tre dalla casa dei miei).
Milano è comperare bottigliette di Cocalight ghiacciate nei supermercatini un po’ arabi del quartiere Lazzaretto a 70 centesimi, e poi bersele goduriosamente proprio davanti ai bar di corso Buenos Aires dove sarebbero costate il triplo.
Milano è, dopo una giornata così, dover andare dal dottore per un controllo di peso e parametri cardiocircolatori al fine di non schiantare sulla prossima salita fatta a pedali. È pensare a tutto il giorno come diavolo farai a spogliarti rudo e cunzo dopo un bagno di calore abbacinante durato dodici ore dodici. È scoprire, quando lo fai e poi il dottore ti visita, che – certamente complice la guazza sudoripara - la tua pressione massima è 110, le tue pulsazioni a riposo sono meno di 50 al minuto (quasi come Coppi!) e hai perso un altro paio di chili, e adesso ti trovi solo a quattro dal tuo sovrappeso forma.
Milano è cenare a base di junk food per festeggiare, a fianco di una complicissima Raffa e di due puttane di mezza età, reduci da una serata di lavoro sulla Paullese e dirette – ritengo - a casa su una scassatissima Opel marrone.
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28/07/05
:: by :: lisagialla
lisagialla in the morning
non ricordo l'ultima volta che mi sono svegliata alle 5.30 ma non è significativo: domani avrò dimenticato anche questa. succedono cose insospettabili, a quell'ora. esistono forme di vita, innanzittutto. il giornalaio è aperto è sorride più largo del solito quando mi consegna il primo vanity fair della pila. l'ipod predilige lo swing. il fazzoletto di parco finto che devo attraversare è occupato. con la cappa e con altro.
decine di piccioni lungo il vialetto, decine sul prato, decine su tutte le macchine parcheggiate intorno. cosa diavolo fanno, tutti lì, di prima mattina? mi guardano. me ne accorgo da lontano e penso che se cammino con aria abbastanza sicura e li intimidisco, magari si spostano per farmi passare. certo che sono tanti. alcuni zoppi, alcuni neri, tutti bruttissimi. per quanta spavalderia possa riuscire a simulare, è evidente che nell'una contro tutti avrei la peggio. basterebbe un loro scambio complice di sguardi per finire sbocconcellata riversa sul marciapiede. potrebbe non passare nessuno per mezze ore e potrebbe essere troppo tardi, allora, per ricomporre il cadavere - che profetizzo con vivido dettaglio.
si dice che piccioni siano stupidi, certo, ma anche di me non si parla troppo bene in giro. no, ci sono rischi che è troppo presto per correre, non ho neanche fatto gli auguri alla mafe. così, alle prime luci dell'alba, decido di deviare dal percorso standard per circumnavigare i piccioni di soppiatto. quasi finisco sotto una macchina ma trovo che sarebbe stata, comunque, una fine più elegante da scrivere sul blog.
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26/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
Un’altra lista
Nel suo “Il falso problema di Ugolino”, facente parte dei Nove saggi danteschi, Jorge Luis Borges cita Stevenson per spiegare una cosa in sé evidente, ma sorprendente in quanto di solito non ci si pensa.
Robert Luis Stevenson (Ethical Studies, 110) osserva che i personaggi di un libro sono filze di parole; a questo, per quanto blasfemo possa sembrarci, si riducono Achille e Peer Gynt, Robinson Crusoe e don Chisciotte. A questo anche i potenti che ressero la terra: una serie di parole è Alessandro e un’altra Attila. Di Ugolino dobbiamo dire che è una trama verbale, che consiste in una trentina di terzine.
Orbene, lasciando perdere Alessandro e Attila, che alla fin fine furono - in un tempo ormai svanito - anche altro che filze di parole, mi vorrei soffermare su quei personaggi, quei luoghi, quegli oggetti, quelle situazioni che non sono né mai furono altro che stringhe alfabetiche più o meno lunghe, per chiedermi: quali di questi personaggi/luoghi/oggetti vorrei poter conoscere/visitare/toccare?
Facciamo 31? Facciamo 31. In ordine sparso.
- La bambina portoghese (anche solo per chiederle che cacchio le successe, davvero, quando “fu solo del sole come di mani future”: muore? s’addormenta? svanisce come per magia? torna indietro dagli amici ma non è più la stessa? insomma, che cosa? giuro, mai capito, solo congetture)
- Un silmaril.
- Il ristorante al termine dell’universo.
- Il commissario Ciccio Ingravallo (comandato alla Mobile).
- La piana col Fuso della Necessità e i troni di Lachesi, Cloto e Atropo, nel racconto di Er che chiude la Repubblica di Platone.
- Il Caligola di Camus.
- Hogwarts, naturalmente.
- Moscardo, Quintilio e Parruccone (per tacere degli altri conigli, e della Collina). Se non costa troppo, anche El-ahrairà.
- Il Liber acephalus de Il nome della Rosa (e Guglielmo da Baskerville, per chiacchierare un po’ di tutto).
- Il Patriarca di Garcia Marquez.
- La gamba di legno del capitano Achab. In mancanza della gamba, la sua pipa. Ma magari anche la bistecca di balena.
- Ettore e famiglia.
- Il catalogo redatto da Leporello.
- Berlicche, il diavolo di C.S. Lewis, per discutere con lui di teologia.
- L’aratro in mezzo alla maggese di Pascoli.
- J., Harris, George e Montmorency, in un pub (la birra la offro io per il piacere di sentirli raccontare di quella volta, sul Tamigi)
- Il cappello bianco di Gustav von Aschenbach.
- Il castello dell’Innominato.
- Lucy in the Sky with Diamonds (poterla vedere, dico, senza aver assunto sostanze psicotrope).
- Il capitano de La stiva e l’abisso di Michele Mari.
- La porta dell’eterno ritorno in “Della visione e dell’enigma” di Così parlò Zarathustra.
- I Peanuts, tutti.
- Il Paradiso di Dante.
- Il Colombre, compresa la famosa Perla del Mare di cui è latore.
- Il malchiuso portone e i limoni di Montale (o, come seconda scelta, l’infilascarpe perso al Danieli e gettato da Hedia).
- La pensione di Agosto, moglie mia non ti conosco.
- Benjamin Malaussène con il suo cane epilettico.
- Il cimitero di Spoon River.
- L’accetta di Raskòl’nikov.
- La terra desolata (a patto di avere una borraccia d’acqua fresca e una guida turistica).
- Un aleph.
Ma sono sicuro che non appena posterò, mi verrà in mente qualcosa d’altro. Semmai, l’aggiungerò nei commenti. Per quanto, potendo vedere un aleph...
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25/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
Risus paschalis
Voi fate un po' quel che volete e pensate pure tutto il male possibile, ma a me 'sta storia della Madonna che, una volta tanto, al posto di lacrimare o sanguinare o profetizzare sventure o magari le tre cose insieme si anima per ballare il twist ("chi dice che la statua abbia mosso le ginocchia") e per mostrare le gambe di sotto a un velo fattosi miracolosamente trasparente, beh, fa tenerezza e mette addosso un'irrefrenabile, illogica allegria.
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22/07/05
:: by :: SuperBimba
Magic moments
ciao! come ti chiami?
maurizio.
eeeh?
maurizio.
cooooome?
maurizio.
maurizio???
sì. maurizio.
hai una voce così...
dillo, Maga Melissa! Abbi il coraggio delle tue azioni, dea della cartomanzia, regina della divinazione, unica custode dei segreti del nostro futuro! Osa! Che la tua voce non tremi... Dillo che l'hai scambiato per una donna!
...così giovane!
Vabbè. Sublime Melissa, perdoniamo la tua esitazione perché ti stai concentrando sulla combinazione arcano del mondo con il cinque di denari e svelerai a Maurizio tutto il bello che la sua esistenza gli riserva, girato l'angolo. Ma soprattutto perché da qualche giorno stai turbando i nostri sonni con il Meraviglioso Andrea. Che fisico scultoreo! Che pose da Adone! Mai ci basterebbero i minuti che trascorrono troppo veloci mentre tu leggi l'avvenire nei tarocchi e lui guarda immobile la telecamera, si ravvia i capelli setosi, si sistema il pacco accarezza lievemente, guarda torbido in camera, sorride malizioso, con quel viso spigoloso eppure dolcissimo da panettiere del Triveneto bronzo di Riace.
non sapete che fatica faccio per portarlo davanti alle telecamere confessa l'Eccelsa Veggente dalla chioma scintillante. Maga Melissa! Sei il sollievo delle soffocanti notti di luglio. Quando appari sullo schermo con il Costantino dei poveri Misterioso Andrea, il mio cellulare impazzisce: ci sintonizziamo e facciamo il tifo per te. Ipnotica. Divina.
P.S.: e nessuno che mi dice che è anche tornato Denim per l'uomo che non deve chiedere mai in versione semiporno. Questa televisione estiva riserva una sorpresa dietro l'altra.
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:: by :: lisagialla
no one, nowhere, in summertime.
questa non è la solita nenia sulla prova costume, questa è una fiera polemica contro l'informazione istituzionale. io ricordo a memoria ogni pagina scritta per superare le ansie da prestazione balneare, anche se la spiaggia non è stato teatro dei miei più clamorosi successi - essendo quello per la maggior parte costituito da locali bui, fumosi e frequentati prevalentemente da gente ubriaca. tuttavia io so, io ho imparato.
non smetto più di mangiare a maggio per ricominciare in ottobre, per esempio, al solo scopo di mantenere una sofferta decenza pure mezza nuda. non voglio credere che sia solo per la sopraggiunta rassegnazione dei - furono - trent'anni, qualche cosa tutti quei giornaletti devono avermi insegnato. e non suonava certo come:- indossa un bikini una misura più piccola per mettere in risalto le forme. poco importa se finirai per somigliare a una salsiccia di pollo strizzata e vagamente oscena, pietrificata dalla paura di inevitabili tracolli, vittima della ricrescita dal primo giorno, anche con la brazialian più estrema.
- cospargi il corpo con l’autoabbronzante: crea un piccolo effetto “velo” sulla cellulite e snellisce. peccato solo quel “velo” sia maculato arancione e comunque troppo pallido per scongiurare l'effetto ultima arrivata. di necessità, virtù: ho deciso che il bianco in spiaggia è - in giugno certo, in agosto con una buona dose di faccia tosta - raffinato. cappelli, occhiali, l'aritmanzia delle protezioni solari: ci si diverte molto di più.
- evita di indossare bermuda anonimi. scegli un paio di shorts di colore scuro o con una fantasia floreale: accentueranno delicatamente le forme. allora, chiariamo: i bermuda stanno bene a pochissime, gli shorts a nessuna - geneticamente riconducibile al pianeta terra, intendo. con una fantasia floreale, poi, non riesco neanche a concepire. chi ha bisogno di consigli del genere? se ti senti abbondante, annoda parei; se sei magra, togli subito quei pantaloni e offrimi un gelato, svergognata.
- indossa sandali con tacco per slanciare la figura. e ricordati di me quando ti incaglierai su ogni singolo sasso, per non parlare di quella romantica escursione sugli scogli terminata in tragedia. insomma: zeppe, se proprio necessita.
- non c’è bisogno di lasciare a casa i tuoi bijoux preferiti. in più, il body piercing può catturare lo sguardo e sviare l’attenzione dai i punti deboli. anche fare grossi salti e soffiare continuamente in un fischietto servono egregiamente allo scopo, per variare.
- avere qualche ciocca umida di capelli aumenta la sensualità. soprattutto se ti chiami francesco totti.
- se hai i capelli lunghi, prima di arrivare in spiaggia, distribuiscili per bene su schiena, seno e spalline del bikini. in questo modo suderai in maniera uniforme e non correrei il rischio volgare di un'abbronzatura omogenea. serve altro?
- togliti i vestiti durante quella che i fotografi chiamano “l’ora magica”, ovvero il tramonto. se ti rimangono le forze, raccogli anche i capelli e bevi qualcosa. dopo una giornata passata in pantaloncini, sui tacchi, disidratata, con il costume ostinatamente infilato nel sedere e agghindata come una madonna, magari sei un po' stanchina.
- l’andatura corretta gioca un ruolo fondamentale. tieni alta la testa e muoviti in modo disinvolto, mettendo un piede davanti all’altro. il passo del granchio non incontra più molto, effettivamente.
- ripeti a te stessa che “la vita è una passerella”. e applicane le regole quando passeggi lungo la spiaggia. attenta solo a non non scivolare. santo cielo, come mi sento vecchia.
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19/07/05
:: by :: lisagialla
792/(80-14)
dodici. paia di scarpe all'anno. direi che siamo perfettamente in media, io e le mie amiche immaginarie.
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18/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
Wild Girls
Io ho avuto la mia educazione sentimentale in oratorio. Ora, non voglio riesumare vecchi luoghi comuni sulle figlie di Maria, ma insomma, da quelle parti girava almeno tanta sensualità quanto Spirito Santo. Anzi: molto spesso ciò che si prendeva per Spirito Santo in realtà era sensualità. E forse l’errore non era poi così erroneo. Ma non è di questo che voglio parlare.
Le ragazze che giravano là in giro si dividevano in due categorie: c’erano le “ragazze dell’oratorio” e c’erano “le scout”.
(Piccola parentesi di sociologia del cattolicesimo milanese anni ’80: gli oratori erano ambienti divertenti e vitali, ci si incontrava un mucchio di bella gente, e ci si faceva un po’ di tutto – calcio, ovviamente, e altri sport, ma anche gruppi di lettura, approfondimenti teocatechetici, uscite a bere, tornei di biliardo e biliardino, discussioni su Tolkien e i Pink Floyd, feste di carnevale e capodanno, memorabili vacanze in montagna, innamoramenti e corteggiamenti, qualche canna, persino – insomma era quanto di più vicino alla comune hippy potesse sussistere senza che i nostri genitori chiamassero la polizia per lo sgombero e per farci riportare a casa. Erano retti da sacerdoti diocesani perlopiù ggggiovani. Erano aperti un po’ a tutti, benché ci fossero al loro interno naturali divisioni, la più netta delle quali era tra i tamarri e gli altri – anche qui, con molti più scambi osmotici di quanto si possa credere -, ma poi a sparigliare il tutto c’erano gli scout. Perché gli scout erano in oratorio, nel senso che lì avevano la loro sede, ma per tutto il resto erano separati dall’oratorio: non giocavano mai a pallone, non partecipavano alla stessa catechesi e agli stessi gruppi di noi oratoriani, non uscivano con noi a bere, avevano un loro sacerdote responsabile. E poi, francamente, si vestivano in un modo...)
Ovvio che per noi il primo territorio di caccia fosse quello delle “ragazze dell’oratorio”. Per dire, io ne ho sposata una. C’era un gran frullìo di accoppiamenti e scoppiamenti. Sempre per dire, prima di stare con me la mia attuale moglie stava col mio migliore amico, che poi è stato nostro testimone di nozze, e un mese fa s’è fatto prete.
(Piccola parentesi sulle cose che devo fare nella vita: un po’ di analisi. Bisogna trovarne uno bravo. Lacaniano, magari. E suggerirlo anche al mio amico prete, va’. E se fa gli sconti famiglia, anche a mia moglie.)
Poi c’erano “le scout”. Per un po’ (quel periodo della prepubertà in cui c’è niente da fare, ma il maschio medio è un bischero che lèvati) le spregiavamo. Rientravano, come dirlo?, nella “categoria”. Quella per denigrare la quale, quando andavamo in giro a piedi per le montagne, avevamo inventato anche una canzone: “Noi non siamo gli scout! Noi non siamo gli scout!” – hai visto mai che gli stambecchi si confondessero e ci prendessero per - sull’aria di “Cristo vive nel cielo, nella gloria dei santi”, che poi a sua volta è plagiata dall’inno della U.S. Navy (giuro che è vero, l’ho scoperto cinque anni fa e ho passato un pomeriggio intero a basirmi).
(Piccola parentesi per i lettori di questo blog: prima di ridere di me, pensate a che cosa facevate voi quando avevate dai 13 ai 15 anni, poi ne riparliamo.)
È che man mano che passava il tempo, “le scout” cominciavano ad apparirci sotto un’altra luce: la luce dell’esotico. In realtà, noi e gli scout facevamo più o meno le stesse cose. Separati, ognuno le sue, ma le stesse. Loro andavano in montagna, noi andavamo in montagna. Loro facevano catechismo, noi facevamo catechismo. Noi avevamo le nostre canzoncine di cui ci saremmo vergognati per il resto dei nostri giorni, loro avevano le loro canzoncine di cui si sarebbero vergognati per il resto dei loro giorni.
(Piccola parentesi per i fan dei Duran Duran: il gruppo scout del mio oratorio, il Milano XII, a un certo punto adottò come proprio inno una roba che c’era il capo – credo si chiamasse l’Akela – che gridava “Wild Boys!”, e tutti gli scoutini ripetevano in coro come un sol uomo “Wild Boys!”, e io ancora oggi non ho capito se era una figata pazzesca o una cosa raccapricciante. Probabilmente, entrambe.)
Però erano carine, “le scout”. Qualcuna proprio di suo, naturalmente, e poi come genere. Erano, si diceva, esotiche. E un po’ rustiche. E selvagge quel tanto che attizza. Però erano scout. “Noi non siamo gli scout!”
Insomma, odi et amo. Lì a portata di vista, ma lontane di una lontananza incolmabile. Afferrabilmente inafferrabili. Inafferrabilmente afferrabili. Affinafferrabili.
I primi contatti con gli alieni avvennero tra maschi. Cioè, sia chiaro: nacquero virili amicizie tra noi e alcuni scout. Non mi ricordo nemmeno bene come, forse era proprio una sorta di “progetto fratellanza” della Diocesi, una cosa così.
Si capì che non erano antipatici, anzi. Alcuni di loro erano forti. Avevano un mondo tutto loro, con i loro nomignoli assurdi (tratti, ci si diceva, dal Libro della giungla). Per legare con loro, soprattutto, si scambiavano informazioni sui reciproci universi femminili.
Loro raccontavano storie di campi estivi, di tende, di notti al chiaro di luna, sotto il cielo stellato, di torrenti che gorgogliavano, e noi pian piano capivamo che, dannazione, i nostri amici scout maschi avevano un gran culo. Cazzo, proprio un gran culo. Nel senso, sia chiaro un’altra volta, di fortuna.
Nei loro racconti i fantasmi affinafferrabili delle scout prendevano corpo (questa volta pensate pure male, se vi viene da, ché avreste ragione). Ed erano meravigliosi (i fantasmi. Delle scout. Ma forse si capiva lo stesso).
Perché un conto è immaginarsi di pomiciare con una ragazza sul muretto dell’oratorio, un conto è immaginarsi di farlo a 2000 metri di altitudine sotto un cielo stellato. Un conto è pensare di dare un appuntamento sotto casa a Milano, altro è pensare di poter dire “ci vediamo dopo, in tenda”.
In quei racconti, “le scout” si infilarono irrimediabilmente in quella zona del mio, del nostro cervello che custodisce l’immaginario erotico, e lì si scolpirono e rimasero icone.
Infine vennero le Giornate mondiali della gioventù volute da papa Wojtyla, e il parroco pensò bene, forse anche solo per risparmiare su pullman e alloggi, di mandarci a Santiago de Compostela e poi a Czestochowa insieme. Ragazzi dell’oratorio e scout. Maschi e femmine. E successero cose irreparabili. E, tutti, uscimmo dalla fanciullezza. E superammo la nostra linea d’ombra. E forse adesso si capisce perché io abbia sempre voluto un gran bene a papa Wojtyla.
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:: by :: lisagialla
see me, feel me, touch me, heal me
sotto il sole orgoglioso dell'una realizzo un sogno di primavera e sbarco - agghindata di buste e borsette - davanti alla porta della casa che per prima al mondo è stata contemporaneamente - prodigi dell'arredamento a incastro - micro e gialla, per scelta. al di là immagino un po' di polvere, due tazze sporche di qualche mese e i miei venticinque anni.
la porta si apre solo dopo spallate - dozzine - e l'intervento di un passante nerboruto. dentro, uno strato di terra da trasformare in fango, il telefono fisso staccato - signora, lei non paga da settembre, si metta un po' nei nostri panni - e la connessione gprs assente. strillo ai quattro venti un sms di richiesta soccorso, nel volgere disperato di qualche quarto d'ora mi struggo perché - il silenzio è inequivocabile - nessuno in questa città mi vuole più uno straccio di bene. a parte il passante, scomparso. afferro una birra panoramica, chiamo il servizio clienti e mi coglie un sospetto di ubriachezza delirante. ma non sono io.
- buongiorno sono mirko, come posso aiutarla?
- buongiorno, ho un problema con gli sms in ingresso. è già successo, ho controllato le impostazioni e credo sia necessario aprire il guasto.
- che problema ha?
- non ricevo sms.
- è sicura?
- oppure non mi vuole più bene nessuno.
- scusi?
- sono sicura, sì.
- le detto la stringa per rimuovere il blocco.
- che blocco?
- degli sms.
- io non ho nessun blocco.
- magari è capitato. ha una penna?
- ho un sasso e un muretto.
- bene. digiti la stringa, aspetti qualche ora e se il problema persiste non esisti a richiamarci.
digito la stringa, aspetto qualche microsecondo e sul display compare un solenne 'tutte le chiamate e gli sms in ingresso sono stati bloccati'. santo cielo.
- buongiorno sono franco, come posso aiutarla?
- buongiorno, ho un problema.
- mi dica.
- non ricevevo sms.
- ora sì?
- no, ma.
- li invia?
- sì, ma.
- ha credito?
- poco, però.
- quanto?
- sarà meno di un euro.
- allora è per questo.
- non posso ricevere perché non ho soldi?
- magari s'è bloccato, sa, c'è una str.
- ecco. unsuocollegamihadatounostringamacredofossequellasbagliataperchéadessononricevoneanchechiamate. phew.
- le ho appena inviato entrambe le stringhe, per bloccare e sbloccare.
- come 'me le ha inviate'?
- via sms, come sennò?
- franco, mi servono perché non ricevo sms. non può dirmele a voce, ché ho pure comprato una penna?
- attenda.
<..>
- buongiorno, sono franco. ma non ha un secondo cellulare?
- no.
- il cellulare di un amico?
- no.
- un familiare?
- no, sono sola al mondo. può dettarmi la stringa?
- non ho accesso a queste informazioni.
- ma mirko.
- chi?
- il suo collega, quello che mi ha dato la stringa sbagliata, l'avrà letta da qualche parte.
- magari la sapeva a memoria.
- magari. e io come faccio?
- trovi un amico e non esiti a richiamarci.
no che non esito.
- buongiorno sono carmen, come posso aiutarla?
- buongiorno, sono lisagialla. vuole essere mia amica?
- prego?
- sa, avevo un problema, ora ne ho tre. non ricevo sms, non ricevo chiamate e non ho più amici.
- si calmi, una cosa alla volta.
- gli sms. non li ricevo. era già successo. ho detto a mirko di.
- mirko?
- un suo collega. gli ho detto di aprire un guasto, ché era già successo e l'altra volta in dieci minuti abbiamo risolto ma lui.
- è sicura di avere sms da ricevere?
- oddio, dice di no?
- anche suoi, magari.
- ah, miei sì. un paio.
- se ne mandi un altro, se tra due ore non l'ha ricevuto non esiti a richiamarci.
due ore.
- buongiorno sono marco, come posso aiutarla?
- buongiorno. non ricevo sms. la scongiuro, mi apre il guasto?
- ha spento.
- e riacceso.
- il centr.
- è corretto.
- la string.
- è inutile.
- l'autoinv.
- non funziona.
- due or.
- sono passate.
- le apro il guasto.
- la bacio.
dieci e minuti, poi piovono sms a riscaldare il cuore. a scrosci. sono la reginetta della festa. ininterrottamente. fino a stamattina, quando realizzo sgomenta che non ricevo messaggi da troppo tempo. che ansia. ho quaranta euro. ho anche autoinviato, spento, riacceso, controllato il centro messaggi. ho evitato di digitare qualunque stringa. niente, non ricevo sms.
marco, sei là fuori? in onore dei vecchi tempi, non esitare a richiamarmi.
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14/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
La Leggenda del Grande Inquisitore
“Infine, Eminenza, ci sarebbe questa lettera della signora... signora... Kuby.”
“E chi cavolo sarebbe questa signora Kuby?”
“Mah, una scrittrice sua compatriota, Eminenza. Credo legata all’Opus Dei.”
“E che caspita vuole la signora Kuby?”
“Le manda un libro.”
“Ah, bene. Un altro. Questa settimana fanno trentasei. Trentasei libri. Ma dico, credono che qui in Vaticano si possieda una macchina del tempo? Vabbé, faccia la solita lettera di ringraziamento e bla bla bla, sa come fare no?”
“Sì, d’accordo, è che forse meriterebbe un minimo di attenzione...”
“Oh, bella, e perché? Di che cosa parla il libro?”
“Harry Potter.”
“Harry chi?”
“Potter”
“E chi sarebbe questo Harry Potter?”
“Un mago.”
“In che senso, scusi?”
“È un personaggio letterario di una saga che va per la maggiore. Sono usciti cinque libri, finora, e ne sono previsti altri due nei prossimi tre anni. Ci sono anche i film. L’autrice è un’inglese che...”
“La signora Kuby è inglese? Non aveva detto che era tedesca?”
”No, Eminenza, sta facendo confusione. La signora Kuby non è l’autrice della saga di Harry Potter. Ha scritto un libro di critica letteraria sulla saga. Che poi è quello che le ha mandato.”
“Oh Signore Benedetto, certo che ce n’è di gente che non ha nulla da fare, al mondo. Insomma, che cosa c’è di così interessante in questa cosa... di questo coso... come si chiama... Hammy... com’era più?”
“Harry. Harry Potter, Eminenza.”
“Ecco, Harry Potter.”
“Beh, vede, Harry Potter è un piccolo mago che va a scuola di magia.”
“Sì, embé?”
“Ma Eminenza, la magia...”
“La magia che cosa? Senta, la smetta di menare il can per l’aia che qui ho cose urgenti e importanti: ma lo sa che settimana scorsa un teologo della facoltà di Gottinga ha pubblicato un’intervista in cui mette in discussione la resurrezione dei corpi? Se ne rende conto? E l’altroieri il vescovo di Bogotà mi ha mandato un fax in cui parla di una vera e propria sedizione dei docenti del suo Seminario Maggiore a proposito del Primato Petrino. Insomma, avrei da fare. Questa signora Kuby scrive cose contrarie alla fede?”
“Ma no, Eminenza, è l’altra che forse...”
“L’altra chi, per la miseria!?”
“Niente, Eminenza, non si alteri che ha l’ipertensione.”
“Insomma, la signora che ci ha mandato il libro, che se ho capito bene si chiama Kuby, scrive cose contrarie all’ortodossia? Risponda con un sì o un no, per la Santa e Paziente Misericordia del Signore Incarnato.”
“No. Non direi. No.”
“E allora faccia così e mi tolga d’impiccio: cerchi di capire un po’ che tipo è ‘sta signora Kuby e le scriva una bella lettera di risposta e ringraziamento. Mi raccomando, che sia incoraggiante e piena di lusinghe: ci manca solo di scoraggiare quei pochi cattolici in giro per il mondo che credono ancora in Dio Uno e Trino e nella Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Ha capito bene? Se nella lettera di presentazione (perché ci sarà una lettera di presentazione, no? Mica ci avrà mandato il libro senza una lettera, vero?)... se, dicevo, nella lettera lei sente puzza di Opus Dei risponda con quelle cose che mandano in sollucchero quelli dell’Opus: lecchi il Fondatore, usi almeno una volta l’espressione “cristianità”, e se la signora si scaglia contro qualcosa che lei, la signora, ritiene essere una subdola seduzione della modernità contro la fede (un loro chiodo fisso, sa?), beh, lei, lei don Georg, scriva chiaramente che la ringrazia per la sua lungimirante lotta contro le subdole seduzioni della modernità contro la fede. Se, invece, le sembra una ciellina lecchi il Fondatore (quello va sempre bene un po' con tutti), parli di comunione col Papa, usi parole come “esperienza”, “incontro”, “comunità”, cose così. Se è una Focolarina, idem con patate mutatis mutandis. Devo continuare? Su, faccia del suo meglio.”
“Vado.”
“Ah, e mi raccomando, non mi tedi più. Anzi, faccia così: firmi col timbrino, così non deve nemmeno tornare e farmi interrompere ancora il lavoro. Ma lo sa che a Manila s’è formato un gruppo di base che pretende di celebrare da sé la Santa Eucarestia senza ministri consacrati? E qui c’è un memorandum di quel sant’uomo del Primate che mi chiede lumi. E lei mi scoccia con la signora... comecavolosichhiama.”
“No, prometto che non la scoccerò ulteriormente. Solo un’ultima cosa, se permette...”
“E ti pareva. Sentiamo.”
“Questi libri di Harry Potter... insomma... quelli contro cui si scaglia la signora Kuby...”
“Sì?”
“Beh, giusto un paio di settimane fa è uscito un lancio di agenzia in Gran Bretagna, nel quale si sosteneva che Sua Santità fosse un appassionato lettore della saga.”
“Ma chi, Wojtyla?”
“Sì. A suo tempo Navarro Valls mandò un comunicato di smentita.”
“E ci sarebbe mancato solo: Sua Santità a far da testimonial a un libro. In che cavolo di mondo viviamo?!”
“Sì, ma non coglie il punto. La signora Kuby dice, in soldoni, che i libri di Harry Potter, quelli che piacerebbero al Santo Padre, sarebbero un progetto a lungo termine per sradicare l’antropologia cristiana e il senso etico del bene e del male dal cuore dei fanciulli...”
“E per la Madonna! E che cosa sarebbe questo Harry Potter, l’Anticristo in persona? Senta, faccia come le ho detto. Una bella lettera che blandisca la signora. Poi con Wojtyla ci parlo io, se serve. Ci sta anche, che gli piacciano. Lui, dentro, è rimasto il drammaturgo e l’attore che era a vent’anni. Un bambinone, per certe cose. La cosa ci ha dato dei bei benefici, finora, ma talvolta... si fa una fatica a star dietro ai suoi entusiasmi... A lui che cosa importa? È il guaio di tutti i santi: non si rendono conto del mare di fango in cui siamo immersi noi poveri e umili custodi della Dottrina.”
“Allora, vado.”
“Sì, ecco, bravo, che io ho da fare e le ho dedicato fin troppo tempo. Oh mio dio!”
“Che cosa c’è, si sente male?”
“No, no, non è niente: ma guarda questo fax! L’Arcivescovo di Seattle ci comunica che un teologo nella sua diocesi ha appena pubblicato un libro in cui si dichiara favorevole ad aborto, eutanasia, matrimonio dei religiosi e dei gay. Devo mandargli subito una risposta! Lei vada, vada...”
“Vado.”
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:: by :: SuperBimba
Three for two
Il tre per due in libreria, non so se mi spiego. Mezz'ora che non potevo non ritagliarmi. Peccato non aver avuto una valigia abbastanza grande. Sì, il libro che si vede in cima alla pila è Incendiary di Chris Cleave. No, non ho ancora iniziato a leggerlo.
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12/07/05
:: by :: SuperBimba
Black ribbon and poppies
che bei pantaloni. li ha ricamati lei?
chiede la signora americana mentre cercavate di non guardarvi un po' nervosi la prima volta sulla Piccadilly Line, che ti ricordano ogni pochi secondi finisce a Hyde Park Corner. Finisce perché pochi chilometri più in là ci sono gli uomini che raccolgono le prove. Che sono i pezzi di cadaveri. Dicono tronchi, dicono pezzi piccolissimi. Sono prove, per ora, poi, tra qualche tempo, diventeranno i resti umani da restituire a quelle facce che si vedono in televisione. Yvonne che piange, ad esempio, e ti concentri per capire quanto può essere vasto e inspiegabile il dolore che ti dilania se sai che il tuo fidanzato ti ha detto ci vediamo più tardi e adesso è smembrato in pezzi piccolissimi che vengono raccolti come prove da gente che ti chiedi come faccia a lavorare a decine di metri di profondità a cinquanta gradi al buio in mezzo a migliaia di topi. Che non era il crollo della galleria ma i topi, ecco, il pericolo, e ti chiedi se lo devi dire, poi decidi che non lo dici perché non sai perché ma i topi ti paiono mostruosi come la bomba, adesso.
E pensi a Monika che ha 23 anni è polacca e ti sembra un'amica perché quando ti sei persa e non si sa come ti sei trovata di fronte al St. Mary's Hospital le sue colleghe hanno insistito per darti il volantino con le sue foto, che magari la riconosci, magari è tra i feriti, magari è sotto choc, magari è morta però. E dopo un paio di giorni diventava una notizia e tu ti dicevi ma lei è Monika, non una foto sul giornale. Chiedi di non occuparti di Benedetta, perché è una ragazza della tua età anche lei forse finita a pezzi piccolissimi, non una provinciale storia di copertina. E sei per un attimo fiera dei tuoi che te lo concedono.
E' diventato una notizia anche Paul che avevi conosciuto per caso a King's Cross che davvero chiedeva notizie di Davinia con la faccia bruciata ed erano sulle prime pagine di tutti i giornali. Lui ti parlava parlava in un inglese stranissimo e tu gli sorridevi senza capire quasi nulla e gesticolava per farti capire come Davinia si sventolava perché le bruciava il viso che però forse non ha più. Adesso dicono che sta bene. Ma che forse non ha più un viso e cerchi di trovare dentro di te la forza di capire davvero cosa significa ma se ci pensi sembra sia un abisso troppo profondo. Paul ti ha parlato per diciassette minuti e non riuscivi mai a togliere il microfono perché ha salvato sei persone e ti pareva il minimo lasciarlo parlare quanto voleva e ne aveva bisogno. Adesso ti fa impressione vederlo diventato due righe di televideo e un eroe mondiale. E in redazione non capivano bene perché insistessi a dire lui è Paul Dadge e a riversare l'intervista mentre un autobus ti portava scriteriata a Finsbury Park da un gruppo di islamici la cui gentilezza e comprensione e partecipazione al lutto era limpidamente falsa.
c'è un allarme a Tavistock Square chiamano dalla radio e fai capire che è tutto un allarme ma è tutto tranquillo. Tutto funziona alla perfezione e tutti sorridono in questo popolo di classe superiore, che la Circle non parte più e i teloni coprono le scene più terribili eppure non percepisci mai freddezza. E in poche ore facce diventano familiari, i portavoce della polizia, i colleghi della Bbc, le chiome spazzolate della Cnn, e dappertutto gli italiani che non te l'aspettavi ma sono quelli che davvero si macinano i chilometri in giro.
E se anche un po' ti vergogni ti autoassolvi per esserti commossa di fronte alla regina sotto la pioggia di papaveri dal cielo nei giardini di Buckingham Palace tra i veterani che ti mostravano le medaglie conquistate in Italia, gente troppo dimenticata che ti parla degli amici che dalle nostre parti ci sono morti a vent'anni d'età. Sorridi ancora pensando che di fronte a Westminster Abbey descrivi in diretta la regina vestita di giallo anche se davanti a te ci sono migliaia di persone, ma il minuscolo bambino americano era riuscito a intrufolarsi tra la folla e fotografare Elisabetta e tu mimando it's the Queen? e lui che cercava frenetico le foto nella macchinetta digitale per fartela descrivere in diretta, tutto fiero di aver contribuito alla causa di un collegamento telefonico di una pazza in una lingua sconosciuta. Registravi le campane e poi le facevi mandare in onda come sottofondo dalla regia di Milano, secondo il tuo autoironico motto facciamo cinema - ma non raccontatelo in giro. Che la sera mentre scorreva l'acqua nella vasca da bagno di South Kensington (in quei momenti il posto più bello dell'universo, quella vasca con la schiuma e l'acqua calda, intendo) tagliavi montavi cucivi e un .mp3 che per fare la cinica chiamavi colore colore sentimento ma sul serio cercavi di metterci la pancia perché sei sincera e la testa per tenere lontana la retorica. Per poi fingere con te stessa di staccare la spina e la tensione si scioglieva a cena coi colleghi in uno strano gruppo vacanze Piemonte. E mentre i pensieri corrono da soli al di sopra delle parole, cerchi di immaginarti tra qualche anno passare per King's Cross, Euston Station, Aldgate, Edgware, Tavistock Square, Russell Square, alla chiesa di St. Pancras, nel giardino della Friends house, al Queen mother sports centre che non sarà più il centro di accoglienza dei parenti dei dispersi. E ti chiedi se cancellerai mai il ricordo dei mazzi di fiori e delle foto di Monika, Caroline, Sleiman attaccate dappertutto col nastro adesivo.
Pensi che non potresti fare nessun altro mestiere al mondo.
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11/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
(Sittin' on) the Dock of the Bay
La pigrizia è una misconosciuta virtù.
Certo, a suo tempo deve essersi avvalsa dei servigi di una pessima agenzia d’immagine. Licenziò in un secondo momento gli incapaci PR, ma ormai il danno era fatto. Nuovi e più abili consulenti non poterono ottenere altro che farla comparire nei compromettenti elenchi sotto generalità fuorvianti per i più: risultò pubblicata e sputtanata come “accidia”, e ancora oggi se i lettori si distraggono solo un tantinello magari non colgono che alla fin fine è sempre di lei che si parla. Della cara, vecchia, bistrattata pigrizia.
Dice: già, ma chi chi lo dice? Rispondo: un po’ tutti, lo dicono.
Volete il laico? Eccovi il laico.
I filosofi, innanzitutto. Fancazzisti se ce n’erano. Contemplativi. Ragionatori. Tanto che son fiorite persino le barzellette, in merito. Ma loro niente. Addirittura, se la suonavano e se la cantavano da loro stessi.
Tutte le scienze saranno più necessarie di questa. Ma superiore a questa, nessuna.
Che è un po’ come dire: ciò di cui mi occupo è quella cosa con la quale o senza la quale il mondo resta sempre uguale. A che serve la filosofia? Letteralmente, a una ceppa. E se lo dice Lui potete credergli.
Volete il sacro? Eccovi il sacro.
Innanzitutto Dio, che è nientemeno l’Onnipotente, al settimo giorno che ha fatto? I marziani? Le gambe già depilate? L’uranio monoprotonico? L’universo di Star Wars? No, quello l’ha lasciato a chi sarebbe venuto dopo (sull’uranio monoprotonico ci stanno ancora lavorando, pare). Il settimo giorno non ha fatto un bel niente. Ha dormito all’ombra del fico. E che l’universo andasse un po’ avanti da solo, tanto il più, occorre darGliene atto, era ormai in moto.
Passando al Figlio unigenito, che non godesse fama di lavoratore è noto. Sì, d’accordo, ci sono i trent’anni di oscura affiliazione alla Confartigianato nazarena, ma chi se li fila? Nei tre anni buoni, quelli memorabili, che faceva? Bighellonava. Parlava. Ragionava. Discuteva. Mai fermo, quello sì. Ma quanto a produttività, nisba. Sì, beh, a parte i pani e i pesci quella volta là. Ma mettere in piedi un rave di quelle proporzioni (cinquemila, dicono, “senza contare le donne e i bambini”) sarà mica lavorare, no? E di sicuro là in giro ci sarà stato qualcuno che lo conosceva da prima e avrà pensato che peccato, un ragazzo che prometteva così bene, sapeste che gambe di sedia era capace di tornire, che stipiti metteva insieme, che antine graziose impiallacciava. Poi, ha preso ad andare in giro con quei dodici capelloni e ha spezzato il cuore ai suoi. Peccato, davvero.
Altrove, poi, è detto ancora più chiaramente. Chi
va in giro di notte, come un leone ruggente, cercando chi divorare.
è nientemeno che il Nemico, il diavolo. Di notte, capite? Figurarsi. Io, per dire, a malapena riuscivo a vedere l’inizio di Costanzo, quando c’era. Girare di notte, roba da matti. Roba da Lucignolo. Di notte si dorme. E ricorderò per sempre quel monastero trappista in cui verso le sette di sera, appena prima di coricarsi, si cantava così
Il nostro sonno vigili
la Tua pietà dolcissima;
dal male che ci affascina
il corpo stanco libera.
In pace mi corico e subito mi addormento:
Tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare.
Per tacere di quell’altra faccenda meravigliosa dell’”Eterno riposo”.
È che, mi sembra, alla radice di tutto c’è un fraintendimento. Un misunderstanding, come dicono quelli, un po’ diabolici anche loro, che la vogliono fare difficile. Insomma: qual è il contrario della pigrizia?
Dice: fare cose. Ma va’ là.
Il contrario della pigrizia è avere in testa l’idea balzana che il mondo non sappia girare da solo. Che abbia bisogno del nostro irrinunciabile e preziosissimo apporto. Che occorra vegliare sui suoi destini. Mentre è solo lasciandolo girare che la vita accade.
E infatti io, che essendo cattolico adoro dormire all’ombra del fico, non è che mi tiro indietro. Dipende per che cosa. Pedalare per cento chilometri su e giù dai colli? Benissimo. Mettere a tavola cinquanta persone? Ottimo. Viaggiare? Magnifico. Giocare? Subito. Tenere un blog? Chevelodicoafare. Correre dietro al cane? Non c’è da chiedermelo. Un po’ di sesso? Sì, grazie. Leggere? Ridere? Ragionare? Contemplare? Discutere? Accalorarsi, anche? Non vedo l’ora.
Ma credere che dalla mia agitazione possa dipendere altro che una copiosa sudorazione, beh, francamente mi parrebbe ridicolo.
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:: by :: lisagialla
volevo essere cristina parodi
Il segreto della felicità non è sposare un principe, è averlo come padre. In questo senso, Sua Altezza Serenissima Alberto di Monaco è un benefattore molto riservato. ma sono bionda dentro, mi riesce meglio silvana giacobini. anche questa settimana, su left wing.
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08/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
Agli amici londinesi (che poi siamo noi)
Anche noi siam di quelli ai quali, in media, si spezza un cuore a settimana.
È che innamorarsi è bello. Già, ma perché?
Forse perché innamorarsi è, in fondo, tenersi sospesi sulle virtualmente infinite possibilità. Sperimentare il what if. E, naturalmente, non parlo solo di donne (soprattutto, certo, ma non solo).
Perlopiù, dei miei innamoramenti resta poco altro che un catalogo, figura emblematica dei nostri tempi se ce n’è una:
Madamina, il catalogo è questo
Delle belle che amò il padron mio,
Un catalogo egli è che ho fatt’io,
Osservate, leggete con me.
La fregatura (ma sarà davvero una fregatura, poi?) è che viviamo nel tempo. Siamo tempo. E allora la peregrinazione di fiore in fiore, lungi dall’essere apertura come parrebbe all’esame superficiale, finisce col ribaltarsi nel suo opposto: chiusura, impossibilità d’esperienza, aridità. Non siamo fatti per durare all’infinito, è nel finito che dobbiamo sprofondare e vivere. Perché, ineluttabile come sono le cose ineluttabili, arriva sempre il Convitato di pietra a ricordarci che
Ah tempo più non v’è.
Suvvia, siate virili, non c’è da toccarsi né da disperarsi.
C'è un limite a tutto. Non è sempre la morte, è spesso qualcosa d'altro e di peggio.
Forse, semplicemente, è l’esser uomini. È, come dice il poeta
Quel vizio che ci ucciderà
Però: sicuri che si tratti di un "peggio"?
Solo chi dopo dieci anni si risveglia ancora a fianco della stessa donna (o dello stesso uomo, o di qualsiasi altra cosa ami) sa davvero che cosa perderà. Perché lo perderà, c’è da esserne certi. Ma condizione per perdere qualcosa è averla avuta accanto. È averla avuta. E questo non lo può annullare niente e nessuno. Figuriamoci una bomba.
Pensate lentamente, respirando: il mistico non è oltre. È dentro.
Forte più della morte, di ogni possibile morte, è l’amore.
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07/07/05
:: by :: SuperBimba
Vado
e vi abbraccio Londra.
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06/07/05
:: by :: lisagialla
modella
a me non dispiace affatto fare le file. se il posto è fresco e c'è da sedersi, di solito sistemo gli appuntamenti 'a rischio' in fondo alla giornata e riprendo fiato. leggo quello che capita, mi scruto le punte dei piedi, programmo le pedicure a venire. a volte, mi appisolo. entro con calma nell'ambulatario del mio medico curante, quindi, per apprendere che lui non c'è, ci ha lasciato in eredità alla dottoressa dirimpettaia. che mi sta pure più simpatica. mi siedo. aspetto.
intorno a me un signore, afflito da logorrea, e una prestigiosa selezione di vicine di quartiere in scamiciata. infuriate, oltre che seriamente preoccupate per l'invasione di extracomunitari in ruoli chiave della società: aiuti domestici, portinaie, badanti. la signora in turchese ha bisogno di qualcuno che cucini a casa della figlia ma che sia italiana, per l'amor d'iddio. ché le altre, mica son capaci.
infuriate, dicevo, per questa novità diabolica della visita per appuntamento.
ma è perché non c'è il dottore?
no - risponde il maschio dominante, prendendo in pugno la situazione - c'è scritto sul foglio là. è per sempre.
ma è solo per l'estate?
no - risponde lo stesso maschio dominante, tronfio della sua competenza - c'è scritto sul foglio là. è per sempre. e proprio non capisce, lui, con quale ardire ci si possa presentare non annunciati, quando quel foglio là era ben fuori da una settimana.
la signora in arancio, trafelata, annuncia di essere quella delle 18.45 e mi guarda male. io leggo. è adesso! - proclama - la prossima sono io. un'altra, in sobrio coloniale, sibila acida che lei è le 18.15. in persona. mi guarda torva. io sempre leggo.
il maschio dominante si produce in una strenua difesa della dottoressa - seppur donna - ma dimentica di dirci a che ora è previsto. messo alle strette, farfuglia un pietoso non ricordo, riparte con gli strali contro quelli che passano davanti - una signora, nello specifico, che infila la porta gridando a me degli altri non me ne frega un cazzo e conquista la mia eterna benevolenza.
peggio di tutti, però, sono i non-appuntamentati - ribadisce, essendo egli maschio dominante, mentre mi guarda con aria saputa e soi disant significativa. io leggo e mi godo il mio essere fuori controllo.
sono felice di niente, è il mio bello. potrebbero chiedermi chi sono, cosa voglio e a che ora. invece mi guardano. e io leggo. si accalcano davanti alla porta dello studio non appena si schiude. prima io! prima io! prima io! la dottoressa infila gli occhiali e legge dal registro: lisagialla.
chiudo il libro, mi alzo con misurata lentezza, sorrido diva agli astanti e sfilo attraverso l'anticamera. sono la linda evangelista della mutua.
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05/07/05
:: by :: SuperBimba
Uffi
Oggi Raiuno ha trasmesso il tv-movie della reunion dell'Albero delle mele. Io ho sbirciato un po' un monitor dalla scrivania, ma dovevo lavorare. E non l'ho saputo nemmeno in tempo per allertare il mio videoregistratore.
Uffi.
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:: by :: moni
L'estate dei revival
In realta’ il titolo doveva essere "Confortably Numb", ma dopo il post di Sere forse poteva risultare un po' fuorviante.
Il motivo e' nel fatto che circa 15 anni fa un ragazzo sconosciuto aveva baciato una 15enne al suo primo vero concerto (i Pink Floyd, che culo) durante questa canzone.
Poi i due, alla fine, si erano persi nella folla oceanica. Lei rapita da un cugino in ansia da riconsegna ai genitori, lui dagli amici bulletti.
Una storia tristissima, altro che le finte storie strappalacrime moderne alla De Filippi per intenderci.
La ragazza -che ero ovviamente io- fantastico' per mesi pensando a come “ritrovarlo” ma, oltre a non esserci internet e i cellulari, non c'era banalmente neanche un cognome. E tutto fini' li'.
Sabato scorso non mi ha baciato nessuno a Hyde Park durante “the song”.
E ce ne sarebbe stato proprio bisogno, col freddo che c’era.
Forse perche' ero "solo" davanti a uno schermo ma non importa, io ero li’.
Non per un bacio, ma per un brivido lungo 10 ore
Make poverty history, please.
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:: by :: farfintadiesseresani
Linea gialla
La linea gialla è un simbolo, e precisamente il simbolo del disfacimento di Milano.
Quando venne inaugurata, nel 1990, rappresentava per Milano, soprattutto per Milano in confronto a qualsiasi altra città italiana, il suggello dell’appartenenza alla contemporaneità.
Ricordo che pochi anni prima, quando già il progetto giallo era lì lì per realizzarsi, lo studentello liceale e già asburgico che ero provò un brivido sottile nella sua prima visita alla Capitale dell’Impero – gita scolastica, ché allora si viaggiava così e poco altrimenti - constatando che essa, Vienna la meravigliosa città della luce bianca e della nostalgia, possedeva tre linee di metropolitana. Tre. Quasi come la mia Milano. Quasi come, e allora mi parve giusto di inequivoca giustizia, quello che fu a lungo il terzo capoluogo dell’Impero, amato dall’imperialregio casato e riamante nonostante la posticcia risorgimentale fola.
Sono poi tornato a Vienna diverse altre volte (ognuno ha i suoi luoghi del cuore, dopotutto). Vienna è arrivata a sei. Milano è sempre ferma a tre (vorrete mica che conti il Passante). Che cosa è successo nel frattempo? Perché qualcosa deve essere successo, no?
Si fa presto a dire Tangentopoli. Resta da capire, e la cosa minaccia di dover essere più lunga e articolata, se Tangentopoli fu malattia o sintomo. Secondo me, la seconda che ho detto.
Mia città! Mia contristata, mia umiliata, mia derelitta, mia assediata, mia esacerbata città! Costituitosi in altare, l’economico imperio (e imperativo, anche) (anca) esigendolo, epperò privo d’ostie (e sacramenti, anche) (anca) («Tu es sì bon»; Mi? «Ti, sì»; «Toi, ouì»)... Ebeti, provettati altari (e putrefatti, anche) (anca). Il progresso anca (anca). Il progresso (anca) partorito avea nell’ingresso...; «del rest, ‘sculta, anca se...»; anca, cosa? Partorito, dicèvasi, avea enormità elevantesi ai cieli (ad coelos), smissili, slaser, disacciaiesche, schimiche, post-schimiche escatologie (lei parla e scrive troppo alto; troppo difficile, parla e scrive, signore...); vèdasi, poi, classi, iperclassi, castrazioni e distruzion delle medesime (classi) (di àsen). E ti? Èccuta, ti? Mi? Nissùn. Nemo. S’era, poi, piano, piano, rilasciata: essa, la putrefatta bestia. Del sociale. Sgonfiata, s’era. Rana enorme, trafitta anche (anca) dalla siringa; ben oltre la Cerchia; di loro, i Navigli; e anche (anca) dell’infangato Lambro. El Làmber! Lu, el me Làmber, cunt el Lambrèt ch’el ghe va denti, là, a Lasnìgh...
Parrebbe anche secondo Testori, che retrodatava l’Apocalisse agli anni ’70 e la faceva consistere in un connubio a suo giudizio mortale: l’accesso alla vertigine della contemporaneità, la perdita di un’anima sociale che potesse governarla (il dialetto, per dire).
L’esito? Milano la contristata.
Una città fermatasi a metà del guado. Una città del vorrei ma non posso. Una città che ha già fatto il danno (e un danno che sarebbe arrivato, profetizzava Testori, fino a Lasnigo) senza cogliere il beneficio dell’operazione. Una città che non sa più chi è.
A ‘sto punto (ma quanto è triste doverlo scrivere?) non restano che due scelte: o Vienna o l’Appennino. O Manhattan o l’Africa. O il cuore della contemporaneità o la sua negazione. Di certo non Milano, che con le sue tre linee di metropolitana non è più niente.
Io da Milano ci sono scappato già troppo tardi, per poi peraltro tornarci con nostalgia sempre tradita, ché non ci si può dimenticare di ciò che fu: il terzo capoluogo dell’Impero. Ed è una nemesi sottilmente crudele quella per cui, a noi che veniamo dall’Appennino, la città offre come sua porta e come suo cardo d’accesso al centro, al suo cuore infartuato, proprio la linea gialla.
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04/07/05
:: by :: SuperBimba
Finale
Le serie televisive di successo dovrebbero essere precettate.
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:: by :: SuperBimba
Facciamo che io ero una rockstar
Domenica pomeriggio. Essebì - anche se ancora non lo sa - si sta scottando la schiena ai bordi della piscina nel suo rifugio vista lago. Essebì chiacchiera per ore con la sua migliorissima amica d'infanzia. Con la quale ogni estate passava interminabili pomeriggi a giocare a Barbie.
Essebì: ma le nostre Barbie che mestiere facevano?
Carla: rockstar. massimo massimo attrice.
Essebì: non hanno mai fatto giornali radio?
Carla: ehm, temo di no.
Essebì: lavorato in psichiatria infantile?
Carla: eh, nemmeno.
Essebì: Carlina, è un casino: io voglio ancora fare la rockstar da grande.
Carla: ma su, è una cosa bella, sai, conservare questa dimensione di apertura nei confronti del futuro e delle possibilità, non perdere il nostro lato più legato ai sogni, all'inf...
Essebì: ma tu vuoi sempre sposare David Bowie?
Carla: eh, uhm, beh, ovvio.
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:: by :: lisagialla
son tutte belle le mamme del mondo
Non è che Jennifer Aniston sia mai stata Miss Popolarità, da queste parti. Sembrava l’incarnazione di un incubo da quarta ginnasio: la compagna di banco che all’improvviso indovina il taglio di capelli e si ritrova col mondo ai piedi. alcune mamme sono più belle di altre. dettagli torbidi e sordide illazioni, questa settimana su left wing.
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03/07/05
:: by :: lisagialla
comfortably numb
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01/07/05
:: by :: farfintadiesseresani
Farfintadiesseregialli
Per cominciare è il colore della luce, e la luce è tutto.
Poi viene l’azzurro, “color di lontananza” e della metafisica, che però dice la separazione da ciò che è bello e lo spossessamento in cui l’uomo, già da sempre, vive. Insomma, giallo primo e azzurro secondo. Il che già basterebbe a spiegare perché tutte le volte che vediamo il mare (“Guarda, il mare!”) capiamo di essere a casa, una casa troppo bella per essere vera.
Il giallo, si diceva.
I bizantini, che su ‘ste cose la sapevano lunghissima, ci dipingevano lo sfondo delle icone. Che, andrebbe ricordato, non sono “quadri”. Sono finestre. Dalle quali trapassa in questo povero mondo un po’ della luce del Tabor. La luce della trasfigurazione. In soldoni, la luce che, sperabilmente, ci abbraccerà. E, sia chiaro da subito, io capisco moltissimo chi non riesce a crederci. Capisco molto meno chi non riesce a sperarci.
Nel laico occidente (che in confronto all’aurea Bisanzio era laico anche ai tempi del Sacro Romano Impero) il giallo della luce e della gloria non appaiono quasi mai in purezza. Il dramma, signore e signori, consiste nel fatto che da questa parte dello scisma abbiamo capito che la realtà è “grigio su grigio”. La realtà è fatta, ahinoi, di “cose”. E le “cose” e il giallo mica vanno tanto d’accordo, sapete.
Sì, certo, tutto ha avuto origine ancor prima. Qualcuno ci aveva provato, a tener fermo il giallo. Parmenide, per dire. Ma alla fin fine dov’è arrivato? S’è fermato lì dove è partito. Suo figlio Platone l’ha pugnalato alle spalle e s’è accaparrato l’eredità, un po’ come un Pietro Maso di successo.
Platone, l’azzurro parricida.
Dall’azzurro, pian piano, il grigio: il colore, si diceva, delle “cose”.
Le cose grigie, al contrario del giallo essere, camminano. Oh, se camminano. Grigio è il metallo, grigia la plastica dei cruscotti. Grigio l’asfalto. Grigia la cenere dei sigari. Grigio il linoleum dei cinema. Grigie le automobili metallizzate. Grigie le astronavi. Grigio il costume di Batman.
Ogni tanto però. Ogni tanto, soltanto. Ma ogni tanto, però. Ogni tanto il giallo torna su (o giù, dipende da come uno se l’immagina).
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!
Ma poi, poveracci come siamo, viviamo nella dimenticanza. Colpa di Platone, certo. E di Armani.
Luce, allora. E gloria, certo. Ma luce e gloria, a noi che viviamo nel grigio chiaroscurale, possono al massimo provocare nostalgia. È per questo che il giallo assume la sua terza, e più amabile, forma. Il giallo è la grazia.
Noi, che non capiamo (né potremmo capire) se non per simboli, che non amiamo (né potremmo amare) se non nella metafora, non riceviamo (né potremmo ricevere) la bellezza se non come accadimento. Se non – lo scrivo o non lo scrivo? - come dono.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
È, per noi che crediamo di vivere tra le “cose”, solo un inizio. Ma è l’unico possibile inizio.
Poi ci sarebbe anche la maglia gialla del Tour de France. Ma facciamo un’altra volta.
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:: by :: SuperBimba
E anche un bel Brindisi!
In due minuti via sms abbiamo già fondato un Benedetta Corbi facce sognà fans club.
Aggiornamento: il Macca circostanzia. Più gentile di quello che sarei io con la campiona del cuore, ma si sa, sono meno sensibile al fascino femminile.
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